Dopo la costruzione a mano, il passo successivo era inevitabile: il tornio.
Sono tornato da Sigrid Ceramics, sempre nel quartiere delle Fornaci a Roma, ma questa volta con una nuova guida. Il maestro era Paolo (Potsoul): paziente, chiaro, generoso nello spiegare. Non solo il come, ma anche il perché. Correggeva gli errori con calma, dava consigli sull’arte ceramica, sui materiali, sugli strumenti, e soprattutto sul modo giusto di stare davanti al tornio.
Si parte dalle basi, come è giusto che sia.
Prima ancora di accendere il tornio impariamo a impastare l’argilla, a sentirla, a renderla omogenea. Poi arriva uno dei momenti più delicati: centrare l’argilla. Un gesto che sembra semplice, ma che richiede presenza, forza misurata e ascolto. Se non c’è centro, non c’è forma.
Da lì iniziamo a costruire le fondamenta.
Le forme base, affrontate con metodo e tecnica, pensate non come oggetti finali ma come esercizi necessari per tutto quello che verrà dopo. Il primo grande protagonista è il cilindro: apparentemente banale, in realtà difficilissimo. È lì che si impara davvero a tirare su le pareti, a controllare lo spessore, a lavorare in verticale.
Poi arrivano i piatti piani, i piatti fondi, e successivamente le bowl.
Ogni nuova forma è una sfida diversa: cambiano i gesti, cambiano le pressioni, cambia il modo in cui l’argilla risponde. Verso la fine iniziamo a lavorare su bowl sempre più tonde, quasi chiuse, che sembrano voler tornare a essere sfere. Oggetti che chiedono delicatezza e decisione allo stesso tempo.
A ogni lezione c’è un rituale che si ripete.
Prima di iniziare a tornire, rifiniamo i pezzi della volta precedente con mirette e lame di vario tipo. È un momento silenzioso, preciso, dove si impara a togliere più che ad aggiungere. Anche questo fa parte del processo.
L’ultima lezione al tornio è stata forse la più intensa.
Una sfida: creare un pezzo bendati. Dalla centratura, al tiraggio delle pareti, fino alla forma finale. All’inizio incredulità, poi panico. Il pezzo stava per collassare, lo sentivo cedere. Eppure, togliendo la vista, gli altri sensi si sono fatti più acuti. Soprattutto il tatto, e in parte l’udito. In qualche modo l’ho salvato. Quando ho tolto la benda ed ho visto cosa ero riuscito a creare, sono rimasto sinceramente sconvolto.
Il corso si chiude con la fase finale: smaltare tutti i manufatti e poi infornare.
L’attesa è carica di curiosità e timore, come sempre. Ma quando i pezzi escono dal forno, il risultato lascia tutti a bocca aperta. Oggetti nati da tentativi, errori, mani sporche e concentrazione profonda.



















La voglia è una sola: iniziare il corso intermedio il prima possibile.
L’argilla è ancora umida.
Le intenzioni sono sempre più chiare.

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